Il futuro della cooperazione europea: dal centralismo alla solidarietà*

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Agli Stati europei si deve offrire la possibilità di istituire forme variabili di cooperazione regionale decise sulla base di interessi nazionali radicati nelle aspirazioni e nei progetti comuni dei popoli europei.

La causa della crisi economica e politica in corso va ricercata anzitutto nell’assenza di comprensione delle élite dell’UE (che a grandi linee è costituita dalla Commissione, i suoi funzionari a Bruxelles e nell’amministrazione centrale, la Corte europea, la Banca Centrale, il Consiglio, il Parlamento, i corrispondenti da Bruxelles e i ricercatori europei) dei processi economici e politici che possono promuovere la cooperazione europea. Questa élite persegue in modo unilaterale l’idea che una maggiore integrazione economica e un’accresciuta centralizzazione del sistema politico facciano avanzare la cooperazione europea e, per questo, sono un ”bene per l’Europa”. Domina la convinzione che la risposta alla crisi attuale è più centralizzazione e un’ulteriore accelerazione della marcia verso una struttura politica federale dell’UE; gli Stati Uniti d’Europa sono l’obiettivo finale. Questa rappresentazione può rivelarsi fatale per il futuro dell’Europa poiché non è radicata nella percezione e nella realtà quotidiana dei popoli europei.

In particolare il periodo successivo al 2008 ha messo in evidenza la debolezza di una struttura economica e politica che in misura crescente prende la forma di eccessivo centralismo,  unilateralità e ridotta regolamentazione del mercato. Una struttura che dal ”crollo del muro” poggia in modo crescente su idee neoliberiste, sulla forza autoregolatrice del sistema del mercato, e sulla necessità di ridurre lo stato del benessere. Sviluppi che in una serie di paesi membri hanno evocato ricordi degli anni Trenta. La solidarietà tra i paesi dell’UE è stata indebolita - il messaggio che arriva da Bruxelles, da Berlino, e dalle élite dell’UE contiene inoltre il monito che ciascun paese deve fare anzitutto ’mettere ordine a casa propria’.

Dall’esplosione della crisi la solidarietà tra i paesi ricchi non è riuscita ad andare oltre il bisogno di salvare le proprie banche per i prestiti che hanno contratto con le economie in crisi. Questa distorta solidarietà è stata legittimata con la retorica della crisi  – la ben nota ‘strategia dell’allarmismo economico’ denunciata da Federico Caffè – e con la critica di quei politici nazionali che non avrebbero osservato le regole; perché se lo avessero fatto la crisi non sarebbe esplosa! Per questo sono stati adottati i cosiddetti ”aiuti” per sostenere di fatto le dure misure richieste di ”risparmi” (tagli) verso i paesi membri che già erano in ginocchio. Imposizione di “riforme” e di “risparmi” controllata da una Troika nominata da Bruxelles e accettata da Berlino, costituita da rappresentanti della Commissione europea, della Banca Centrale Europea e dal Fondo Monetario Internazionale. Per ottenere i prestiti di cui avevano urgente bisogno i paesi dell’UE hanno dovuto accettare misure draconiane in una dimensione che di per sé ha contribuito ad aggravare la crisi in questi paesi, aumentare la disuguaglianza tra paesi e con questo rendere più acuti i conflitti tra i popoli europei.

In questo quadro non può certo sorprendere che l’adesione al ”progetto europeo” si vada sgretolando, che il sostegno popolare è in calo, e le istituzioni europee incontrano in numerosi paesi uno scetticismo crescente. Ma è veramente un’Europa pacifica, affluente, collaborativa e, soprattutto, solidale che l’élite promuove con il suo centralismo, e l’assenza di comprensione delle diversità nazionali e regionali?

Questo grave dubbio sul futuro dell’Europa non avrebbe avuto ragione di essere, se la solidarietà fosse stata privilegiata, la partecipazione popolare incoraggiata e la velocità d’integrazione ridotta.

Vale la pena di ricordare, che….

Il progetto europeo è stato originariamente varato con l’obiettivo di garantire la pace attraverso una rafforzata cooperazione politica, che doveva essere fondata su un crescente benessere e solidarietà, e contribuire a costruire una reciproca fiducia tra ”nemici tradizionali”. Questo processo fu costruito sull’aspettativa che tutti i paesi europei avrebbero tratto vantaggio da una più stretta integrazione economica. Uno sviluppo che doveva inoltre essere socialmente bilanciato e solidamente radicato nelle democrazie nazionali occidentali, per fare da contrappeso ai sistemi economici e politici del blocco orientale. Questo processo radicato verso un progetto sociale, solidale e democratico di cooperazione europea fu deragliato dopo la ”caduta del muro” nel 1989. Le modifiche ai trattati europei che vi hanno fatto seguito hanno avuto come obiettivo di rafforzare le forze di mercato e la concorrenza tra capitali e sul mercato del lavoro, ridurre la sovranità politica dei singoli paesi e rafforzare nel contempo il dominio delle istituzioni dell’UE.

Il risultato di queste modifiche ai trattati ha aumentato la pressione economica e politica sulla originaria cooperazione tra stati nazionali. Un numero crescente di direttive dell’UE sono state prese con una maggioranza qualificata, con la quale gli interessi di singoli paesi sono stati accantonati.  Le frontiere sono state aperte e la concorrenza inasprita e non solo sul mercato delle merci; ma anche in quello dei capitali e del lavoro, con conseguenze destabilizzanti sulla possibilità di condurre delle politiche sociali e distributive appropriate alla realtà dei diversi paesi.

Il sogno europeo di una pacifica, affluente e socialmente equilibrata cooperazione dentro gli accordi che originariamente furono raggiunti nel Trattato di Roma si è arenato. L’élite ’europea’ guidata dai burocrati di Bruxelles, dagli interessi del capitale europeo (e statunitense) e da un alto ceto intellettuale si auto illuse che il desiderio maggiore dell’opinione pubblica fosse quello di realizzare gli ’Stati Uniti d’Europa’ (USE) in modo rapido e efficiente mediante una accelerata cooperazione economica e poi politica. L’Europa sociale fu accantonata a vantaggio di una Europa centralistica, basata sul mercato e dominata dai capitali. Il desiderio dei popoli europei di continuare sulla strada della giustizia sociale, sia sul piano nazionale sia europeo, è stato sistematicamente spazzato via con affermazioni dispregiative come ’nazionalismo’, ’populismo’, e ’mancanza di conoscenza’. In alternativa si è proposto lo Stato europeo competitivo che dovrebbe al contrario, in conseguenza della Globalizzazione, rafforzarsi mentre lo Stato del benessere, dopo il ‘crollo del muro’, è stato relegato tra i cimeli del passato. Il risultato di questo indebolimento delle democrazie nazionali e degli Stati del benessere è evidente: una disoccupazione record e una crescente povertà e ineguaglianza.

Questo testo ricostruisce le fasi di questo crescente processo di deragliamento del progetto europeo. Mette in luce i settori dove il processo di integrazione è andato troppo lontano e deve quindi spingersi indietro se la legittimità democratica dell’UE deve essere ricostruita. E questo deve avvenire se si vuole, tra l’altro, evitare che la Gran Bretagna e uno o più dei paesi dell’Europa del sud abbandonino la cooperazione dell’UE. Ma perché questo accada è necessario riconoscere la diversità europea. I dettati delle élite dell’UE ai paesi membri di accettare un mercato comune delle merci, dei capitali, e della manodopera e una valuta europea per poter divenire membri a pieno titolo dell’UE viene vissuto in pratica come una aggressione alla sovranità dei singoli paesi contro la quale reagiscono i popoli degli Stati membri. Il sostegno popolare al progetto dell’UE è diminuito paurosamente nella maggior parte degli Stati membri, che si stanno allontanando economicamente, politicamente e mentalmente uno dall’altro e nuovi antagonismi sono in via di sviluppo. Questo è niente di meno di una sciagura alla quale le élite dell’UE hanno dato un attivo contributo.

La cooperazione europea deve perciò, laddove necessario, tornare indietro nei settori dove si è spinta troppo avanti. Agli Stati europei si deve al contrario offrire la possibilità di istituire forme variabili di cooperazione regionale decise sulla base di interessi nazionali radicati nelle aspirazioni e nei progetti comuni dei popoli europei. Agli Stati membri dell’UE si deve offrire la possibilità di istituire forme variabili di cooperazione regionale (macroregioni e mesoregioni) decise sulla base di interessi nazionali e anche di comunità con aspirazioni e obiettivi comuni. Di questo esistono già numerosi esempi positivi come ad esempio il Consiglio Nordico e le forme di integrazione regionale dei paesi scandinavi, che per troppo tempo sono stati trascurati.

La tassa sulle transazioni finanziarie può essere introdotta come forma di cooperazione tra alcuni Stati dell’Europa centrale. Le politiche regionali per i rifugiati e l’immigrazione dovrebbero essere rafforzate. Gli accordi Schengen sono stati introdotti in alcuni settori in modo frettoloso e troppo esteso. Soffrono di carenze di controlli all’uscita in alcuni Stati membri, rispetto al Regno Unito e l'Irlanda che hanno mantenuto il controllo passaporti. Problemi ambientali transfrontalieri devono essere risolti a livello regionale quando questo è più adeguato allo scopo. La protezione delle minoranze è anche generalmente un problema regionale. La cooperazione delle politiche estere dell’UE andrebbe rafforzata, come dimostrano gli eventi in corso in Ucraina e nel Medio Oriente.

Queste nostre proposte, specialmente se integrate in un processo decisionale regionale nel contesto dei principi generali dell'UE, potrebbero acquisire più ampia comprensione e accettazione, perché non è difficile da spiegare che i cittadini europei e gli Stati membri hanno un interesse comune nell’andare avanti con la costruzione dell'Europa, ma su una base realistica e condivisa.

* Pamphlet pubblicato a Maggio 2014, in Italia e Danimarca, B. Amoroso and J. Jespersen, Europa? Den udeblevne systemkritik, København, politisk revy. Rome Castelvecchi.

Bruno Amoroso, Jesper Jespersen

Bruno Amoroso,Professor emeritus of Rotskilde University (Denmark). Co-editor of Insight.Jesper Jespersen is professor of economics at Roskilde University.(jesperj@ruc.dk). The most recent book is:"Jesper Jespersen & Bruno Amoroso,"Un’Europa possibile. Dalla crisi alla cooperazione". Copenhagen and Rome: Political Revy & CastelVecchi, 2014