Il fallimento dell'eurozona nella lotta contro la pandemia

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Quello che è accaduto, e continua ad accadere, in Europa e, in particolare, nell'Eurozona e strano, incredibile e, per molti versi, irragionevole.

Tra le sfortunate caratteristiche della pandemia causata dal coronavirus, vi è la sua natura egualitaria. Ha colpito tutti in continenti, e soprattutto i più disagiati ne stanno maggiormente soffrendo come nel caso di molti  paesi africani e sudamericani. Gli effetti non sono stati tuttavia eguali non solo tra paesi con diversa collocazione nel mondo ma nemmeno tra i paesi del Nord del pianeta, generalmente più dotati di possibilità di reazione.

Il caso considerato esemplare è stato inizialmente quello della Cina che si è mostrata in grado di porre sotto controllo la pandemia nel giro dei primi mesi dell'anno in cui comparve. Ma non è stato un caso isolato. Abbiamo visto piccoli e grandi paesi reagire con successo. Dalla Corea del sud al Giappone e poi alla Nuova Zelanda, come all’Australia, e Israele – dove però i cittadini dei territori palestinesi sono stati abbandonati alla mercè della pandemia.

I casi che abbiamo citato sono significativi mostrando la possibilità di affrontare la pandemia con successo. Ed è inequivocabile che non provare tutti i mezzi possibili, quando esistono, è un inaccettabile e tragico fallimento politico. Il fallimento dell'UE è tanto indicativo quanto purtroppo esemplare.

Boris Johnson ha inizialmente sottovalutato i rischi in modo quasi grottesco nella primavera dello scorso anno. Poi, purtroppo per lui, ha subito una grave forma di virus dalla quale è uscito particolarmente colpito. Ma soprattutto ne è uscito cambiando di 180 gradi l'orientamento politico del governo, ponendo l'immunizzazione al centro dell'iniziativa politica. La strategia ha avuto successo. Il Regno Unito sta attualmente segnalando 5.000 nuovi casi al giorno, mentre la Francia ne registra 50.000 e la Germania 25.000.

Il confronto con quanto è accaduto, e continua ad accadere, in Europa e in particolare nell'area dell'euro, è qualcosa di strano, incredibile e una farsa. In ordine cronologico l'Italia, poi Spagna, Germania, Francia, per non parlare di Belgio e Paesi Bassi, continuano ad essere i più colpiti tra i paesi economicamente avanzati.

Il motivo è chiaro quanto il fallimento della politica di intervento centralizzato di cui era responsabile la Commissione europea. Dall'estate del 2020 avrebbe dovuto fornire i vaccini necessari per l'intera UE. L’obiettivo è stato clamorosamente fallito.

Alcuni dei paesi più ricchi e avanzati a livello globale sono stati i più colpiti. La pandemia che sembrava essere domata è esplosa violentemente tra la fine dell'anno e l'inizio del nuovo in Italia, Francia, Spagna, Germania, per citare i paesi più importanti della zona euro - circa duecentocinquanta milioni di abitanti, senza alcuna significativa reazione, oltre alle rassicurazioni infondate provenienti dalla burocrazia di Bruxelles e alle affermazioni ottimistiche di Angela Merkel che aveva destinato alla presidenza della Commissione europea la sua pupilla Ursula von der Leyen.

Nell'Unione Europea vengono prodotte grandi quantità di vaccini di varia origine, compresi alcuni siti di produzione sconosciuti come nel caso di una fabbrica vicino Roma. Il fatto che siano stati esportati in paesi che ne avevano un disperato bisogno, come nel caso dell'Africa, può essere comprensibile e persino desiderabile. Ma perché centinaia di milioni di cittadini di una delle aree economiche più ricche del pianeta, siano rimasti privi del vaccino necessario senza una ragione plausibile è inspiegabile. È il fallimento della burocrazia di Bruxelles che governa il destino dell'Unione europea. L'aspetto peggiore è che nessuno sembra esserne particolarmente sorpreso.

Né le cose sembrano andare meglio per quanto riguarda il piano di ripresa economica dell'UE, il Next Generation EU. Le autorità di Bruxelles hanno stanziato 750 miliardi di euro a disposizione dei paesi dell'Unione Europea per far fronte alle conseguenze economiche della pandemia. In questo contesto, Italia e Spagna sono i due Paesi che riceveranno di più, circa 350 miliardi di euro. Poiché le cifre sono astratte, l'unico modo per valutare questo importo è fare alcuni confronti utili.

Le due nazioni rappresentano una popolazione totale di circa un terzo degli abitanti degli Stati Uniti. Joe Biden ha richiesto e ottenuto, oltre agli investimenti decisi all'epoca di Trump, altri 1900 miliardi di dollari. La somma totale, in termini di spesa pubblica aggiuntiva destinata a combattere la pandemia, sfiora i cinquemila miliardi di dollari, poco meno di un quarto del reddito nazionale americano. In aggiunta a questa spesa, ha proposto l'investimento di duemila miliardi di dollari per rimodellare le infrastrutture statunitensi nel corso dei prossimi otto anni – attualmente considerato il più vasto programma di investimenti pubblici a livello globale. Ciò sarà accompagnato da più elevate imposte a carco delle imprese. Il piano, secondo un funzionario dell'amministrazione, "rivitalizzerà la nostra immaginazione nazionale" e metterà "milioni di americani al lavoro”. (Financial Times, " Biden to unveil $2tn projects and corporate tax rise,1° Aprille 2021).

In ogni caso, le risorse mobilitate dagli Stati Uniti corrispondono a circa un quarto del reddito nazionale, mentre quello destinato a Italia e Spagna è intorno a un ottavo del reddito nazionale La differenza è evidente, ma non è solo questa. Gli stanziamenti decisi negli Stati Uniti fanno parte di una spesa già parzialmente realizzata e in parte da realizzare nei prossimi mesi. Lo stanziamento deciso a Bruxelles, invece, riguarda un importo che verrà distribuito agli stati membri nel corso di sei anni sulla base della valutazione che la Commissione Europea darà dei programmi di spesa proposti a livello nazionale. Essenzialmente, investimenti destinati ai cambiamenti climatici e alle tecnologie avanzate. La differenza tra i tempi  e la limitatezza del sostegno economico dell'UE agli stati membri e gli interventi immediati e massicci decisi negli altri paesi economicamente avanzati è clamorosa.

La Cina, la prima ad essere colpita dalla pandemia, aumenterà il suo PIL di circa l'8 per cento nel 2021, il più alto da molti anni. Tutti gli altri paesi per i quali è stato deciso un adeguato intervento pubblico torneranno al reddito antecedente alla pandemia tra l'anno in corso e l'inizio del prossimo. Nel caso dell'Italia, secondo le previsioni del governo, bisognerà attendere almeno fino alla fine del 2023. In altre parole, significherà il ritorno al reddito del 2007, già cinque punti inferiore rispetto all'inizio del secolo. E questo in un contesto di disoccupazione di massa in aumento già superiore al 10 per cento, e che raggiunge il 20 per cento nel Mezzogiorno, la più alta dell'eurozona.

Non c'è nessun mistero in queste tendenze della crisi. Mentre la pandemia ha ridotto in Italia il reddito nazionale di circa dieci punti, non c'è altro modo per una significativa ripresa che il rilancio degli investimenti pubblici e a sostegno di quelli privati ​​coerenti con un piano generale di ripresa economica e aumento dell'occupazione.

Non c'è dubbio che Mario Draghi abbia, dopo otto anni di esperienza nella gestione della Banca Centrale Europea, una straordinaria competenza in campo monetario e finanziario. Perché non attua le necessarie misure finanziarie ed economiche coerenti con le politiche adottate nei paesi economicamente avanzati del resto del mondo? L'argomento dell'aumento del debito pubblico non è convincente. Persino la Germania ha rotto con la sua tanto pubblicizzata politica dell’azzeramento del disavanzo pubblico.

L'aumento del debito è inevitabile ed è ciò che accade in tutti i paesi nel mezzo di una crisi. Una politica di investimenti pubblici può, d’altra parte, essere favorita nelle circostanze attuali dalla straordinaria disponibilità di risparmi inattivi sepolti nelle casse delle banche con tassi di interesse prossimi allo zero, se non negativi, Queste sono circostanze favorevoli per un importante piano di investimenti pubblici inteso a rilanciare la crescita. L'unica spiegazione di un comportamento irragionevole è la sottomissione alle scelte della Commissione Europea guidata dalla Germania. Una politica rovinosa con incalcolabili danni economici e umani destinati a incidere sulle sorti dell'eurozona.

Nell'ultimo decennio, l'area dell'euro ha registrato la crescita più bassa del reddito nazionale e il livello medio più elevato di disoccupazione nel mondo sviluppato. A volte le crisi servono a renderci consapevoli degli errori del passato e a cambiare decisamente direzione. Può darsi che un cambiamento radicale possa avvenire nei prossimi mesi sotto la pressione degli effetti disastrosi della pandemia e dell'inadeguatezza delle misure adottate e annunciate per limitarne le conseguenze immediate a lungo termine.

La politica consiste nel riconoscere gli errori e apportare i cambiamenti necessari. L'esempio britannico a cui abbiamo fatto riferimento ne è stato un esempio positivo, ma questo è stato possibile solo grazie alla Brexit. Il cambiamento è sempre possibile. Ma per ora non ci sono prove di questo nell'UE. L'esperienza dell'ultimo decennio nell'area dell'euro, segnata dalla crescita più bassa e dalla disoccupazione media più alta tra i paesi avanzati, insieme alla crescente disuguaglianza e povertà, dovrebbe spingere nella direzione di un cambiamento radicale. Ma di questo finora non vi è traccia.

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