Il diritto al lavoro
Sottotitolo:
L’articolo 1 della Costituzione nel diario di Milivoje Ametovic. Per non partecipare alla guerra in Bosnia, lascia la famiglia e nel 1994 arriva in Italia, clandestino. Vive di espedienti. Nel 1997 si sposta in Toscana a seguito di un contratto di lavoro a tempo indeterminato in un’azienda della zona. La sua famiglia gli chiede di raggiungerlo, e nel settembre 2001 ci riesce. Lavora tanto. Nel 2009 arrivano i problemi con l’azienda a seguito d’investimenti sbagliati e il 18 ottobre 2012 viene licenziato. Nel corso della XXXIII edizione del Premio Pieve Saverio Tutino (2017), uno stralcio delle sue Memorie, 1986-2014 è stato letto pubblicamente a corredo dell'articolo 1 della Costituzione e commentato dal giurista Gian Guido Balandi. Riproduciamo di seguito entrambi i testi. Milivoje Ametovic Credo che le persone non si debbano distinguere sulla razza, colore di pelle o appartenenza di religione. Credo che gli esseri umani bisogna dividerli solo come fortunati o sfortunati…, alla fine, la fortuna tante volte dipende da altre persone, che in qualche maniera, sono in grado di condizionare la vita o la fortuna delle famiglie che erano fortunate, avendo quel poco che Sono uno dei tanti sfortunati!!! Mi chiamo Ametovic Milivoje nato in ex-Jugoslavia oggi chiamata Serbia. Da una famiglia contadina povera economicamente ma ricca di onesta e di valori umani. Dopo che ho studiato e cresciuto mi sono sposato nel 1986 e ora ho 3 figli, credevo che il mondo fosse mio e che tutti fossimo uguali. Ma ho scoperto, nell’anno 1990, che le persone odiano altre persone solo perché appartenenti a una religione diversa dalla loro. La guerra è scoppiata, si sentono le bombe dalla mia montagna vedo come bruciano le case in Bosnia. Mi sono chiesto: “oh dio perché? Ferma tutto!!!”. Passata la notte, arrivano per portarmi per combattere per le idee sbagliate. Scappo mi nascondo, non voglio usare le armi contro l’umanità. Anno 1993, mentre dormivo, sognavo di scappare in Italia, paese di libertà, democrazie e uguaglianza. Anno 1994 scappo in Italia come clandestino, lascio la famiglia per cercare la salvezza. Anno 1997 ho conosciuto un toscano M.P.- mi trova lavoro e mi sposta in toscana. V. così si chiamava la ditta del sig. S.C. Ho firmato il contratto a tempo indeterminato. Ho pensato ora si, il mondo è mio. Dopo qualche mese mi arriva la telefonata da casa, “ mi devi portare via gli americani bombardano l’intero paese”. Era vero. Per 72 giorni i missili tomahouk fischiavano sopra il mio paese. Vado a casa, studio come salvare la mia famiglia, non ce l’ho fatta. Anno 2000 inizio le pratiche per portare la famiglia. Anno 2001 ottengo dalla questura il nulla osta. Settembre 2001-LA MIA FAMIGLIA È CON ME, IN PIAZZA A. LOCALITA’ S.-P. Da quel momento fino al 18 ottobre 2012 lavoravo giorno e notte, sabati e feste volevo creare la giusta esistenza a me e alla mia famiglia. Com’è previsto dalla costituzione italiana art.36 di rapporti economici. Tutto è normale la vita va avanti, ragazzi studiano, moglie fa tanti progressi e grandi amicizie con Maria-Nella- Debora-Anna – Renzo D.-Ada-Bruna-Elda e Rolando e tante altre persone. Anno 2009 all’improvviso la mia ditta si trova in difficoltà, e non si sa la verità, investimenti sbagliati spese inutili ritardano i pagamenti - lo stipendio non si riceve. Parlavo con il mio amministratore S.C. “capo che si fa?” la risposta “ non ti preoccupare siamo tutti una famiglia bisogna tirare avanti”. Pensavo dentro di me “ si, dai tiriamo avanti”. Anno 2010 la situazione peggiora parlo con il responsabile “capo che si fa” risposta “Mich -cosi mi chiamavano “ vinciamo noi”! Pensai dentro di me “dai Michi ti ha dato lavoro ti ha accolto lo devi aiutare si tira avanti”. Avevo un dubbio dopo 4 mesi che non percepivo lo stipendio, però con fiducia guardavo avanti. Pensavo all’affitto di 700 euro al mese:” come faccio a pagarlo?”. chiedendogli 700 euro solo per l’affitto, la risposta è “ fai i tuoi passi che io faccio i miei”, la felicità è svanita buio totale. Mi rivolgo al sindacato cgl chiedo i diritti. Maggio 2012 abbiamo fatto la vertenza di pagamento non riesco più a pagare l’affitto, il mio incubo diventa realtà, non dormo, chiedo aiuto al neuro psichiatra dottoressa D. presso il comune di Pontassieve. Mi ascolta-mi consiglia-mi da la forza morale, mi prescrive la cura che mi tranquillizza. Mi sono rivolto a tutte le autorità dello stato, presso la caserma dei carabinieri di Pontassieve e presso l’ASL regione Toscana di Osmannoro, presso l’ispettorato di lavoro però tutt’oggi la risposta non c’è. Gian Guido Balandi Parlare dell’articolo 1 della Costituzione fissando negli occhi – gli occhi che ci guardano dal suo diario – Milivoje Ametovic, la cui drammatica, particolarmente drammatica, disoccupazione si staglia sullo sfondo di milioni di nostri connazionali, soprattutto giovani, che invano cercano lavoro, dopo averlo perso o addirittura senza averlo mai sperimentato se non in forme umilianti; parlare dell’articolo 1 – dicevo – in queste condizioni ricorda – si perdoni la banalità del paragone – il camminare sul filo, quando bisogna evitare gli opposti, ma egualmente esiziali, pericoli di cadere da un lato o dall’altro. Da un lato c’è la denuncia, ore rotundo, dell’inconsistenza di quell’articolo – e di chissà quanti altri – in un sistema capitalistico fondato non «sul lavoro», bensì sullo «sfruttamento del lavoro», lo «sfruttamento dell’uomo sull’uomo» come si diceva nei tempi antichi, che qualcuno chiama i «bei tempi antichi». Dall’altro si può cadere in un giustificazionismo formalistico di maniera: quello dell’art. 1 è un principio generale - badate bene: un principio e non un diritto – che deve fare i conti comunque con l’economia, e da qualche lustro si dice anche «con l’economia globalizzata». Tenterò allora di restare in equilibrio, correndo anche il rischio di apparire, per qualche verso o per qualcuno, «cerchiobottista». Intanto sento l’obbligo di rivestire per un momento i panni del giurista per ricordare che le Costituzioni non sono punti di arrivo bensì di partenza, o meglio di ri-partenza. Sconfitto il fascismo, scacciato in armi l’invasore nazista e, con le urne, il Savoia fellone, scegliendo la forma repubblicana il popolo italiano da lì si è dato il compito di ripartire. Non diversamente hanno fatto le grandi Costituzioni che fondano la storia del costituzionalismo moderno. Portata a termine la lotta per l’indipendenza nel 1783, nel 1787 gli Stati Uniti d’America si diedero la Costituzione, entrata in vigore nel 1789. Similmente, compiuta la prima fase della rivoluzione iniziata nel luglio del 1789 con la presa della Bastiglia, la Francia scrisse la prima Costituzione del 1791. Se le Costituzioni indicano un cammino, lungo la strada si incespica, si cade, si abbandona – per colpa o per dolo – il tracciato segnato. Certamente per colposa indifferenza le autorità che non ascoltarono il grido di Milivoje Ametovic. Non so dire del sindacato – a proposito del quale ritornerò –per il brevissimo cenno dal diario. Ametovic ha giurato di «essere fedele alla Repubblica e alla Costituzione italiana», atto necessario per acquisire la cittadinanza italiana e ha rispettato il giuramento, proprio l’art. 1, lavorando «dalla mattina al buio e la sera tornavo alle 7, 8, 9, 24.00 non guardavo l’orologio». Ma il suo datore di lavoro, per avere acquisito la cittadinanza senza giuramento, non era vincolato al rispetto della Costituzione? Il datore di lavoro di Ametovic è andato ben oltre il mancato rispetto dell’articolo 1. La disoccupazione di M.A. è infatti drammatica non solo in sé – e tanto basterebbe – ma lo è particolarmente per le condizioni nella quali viene licenziato «con 55.000 euro da avere e il cud falso del 2011» dopo anni di false promesse e di un coinvolgimento illusorio e passivo che produce anche danni psicologici. Proviamo allora a porre questa domanda: un licenziamento pienamente conforme alle regole procedurali ed economiche, e magari anche umanamente rispettoso, avrebbe egualmente spogliato di senso l’articolo 1? Sta qui probabilmente il nocciolo duro della questione, quella che riguarda molti dei milioni di cittadini senza lavoro che richiamavo all’inizio. Il problema investe evidentemente le regole in materia di licenziamento, ma discutere questo ci obbligherebbe a delle tecnicalità che forse sono fuori luogo in questa sede. L’articolo 1 non sta da solo, bandiera esposta sulla facciata dell’edificio, frontone decorato, ma cerca e trova coerenza – e non solo come «supremo criterio interpretativo» (C. Mortati, sub art. 1, in Commentario alla Costituzione, a cura di Branca, Zanichelli, 1975, p. 17) – in altre disposizioni. L’art. 4, innanzitutto, con l’obbligo per la Repubblica di «promuovere le condizioni necessarie a rendere effettivo il diritto al lavoro» (C. Mortati, sub art. 1, cit., p. 16) che «mantiene una posizione centrale nel sistema» (ibidem); ma di questo parlerà altro partecipante alla Tavola Rotante. Io voglio invece ricordare lo stretto legame che la Costituzione stabilisce tra il lavoro, fondamento della Repubblica, e la dimensione collettiva dei lavoratori: il ruolo imprescindibile del sindacato. E constato con una certa angustia che questo è a malapena citato nel diario di M.A.. Dopo molti mesi di mancato salario «mi rivolgo al sindacato cgl (sic) chiedo diritti. Maggio 2012 abbiamo fatto la vertenza di pagamento». Fatico a constatare che il sindacato abbia perso la capacità di essere punto di riferimento dei lavoratori deboli. Da altre pagine del diario giunge però il segnale di una realtà diversa. Quei dialoghi con il padrone e con se stesso che con spontanea sapienza di scrittura rappresentano un crescendo quasi musicale: «capo che si fa?» «non ti preoccupare siamo tutti una famiglia bisogna tirare avanti» «sì dai tiriamo avanti» «capo che si fa?» «Michi vinciamo noi» «dai Michi ti ha dato lavoro ti ha accolto lo devi aiutare» «capo come si fa?» «tu fai i tuoi passi che io faccio i mei». Insomma, una di quelle conduzioni aziendali, ancora in violazione dell’obbligo civile di rispettare le leggi, sulla base di un inganno familistico, dalle quali il sindacato è tenuto escluso, con la debole acquiescenza dei lavoratori ricattati. L’unica istituzione che risponde alle richieste di M.A. è il comune di Pontassieve, sostanziandosi in un aiuto socio-sanitario. La persona incaricata «mi ascolta – mi consiglia – mi dà la forza morale, mi prescrive la cura che mi tranquillizza». E questa è, per una volta, una acquisizione della cittadinanza che ha trovato concretizzazione. Perché anche con questo ha a che fare l’art. 1. «La Repubblica democratica fondata sul lavoro» ha mantenuto e disatteso al contempo le promesse contenute in quelle semplici parole. Esse stanno a «indicare il valore che la Repubblica attribuisce all’apporto del lavoro di ciascuno […] in luogo di altri fattori in passato dominanti, come la nobiltà di nascita o la ricchezza» (V. Onida, La Costituzione, il Mulino, 2004, p. 81), e questa è una acquisizione che in questi settanta anni ha consentito a questo paese di progredire pur nelle contraddizioni, tra le quali si iscrive l’aver disatteso, per altro verso, il comandamento dell’art. 1. Ma a ben vedere a disattendere è stata la politica: ecco finalmente l’attività delle donne e degli uomini che sono stati la classe dirigente in cui si è sostanziata l’attività della Repubblica. Ma l’aggettivo che compare tra quelle semplici parole è «democrazia»: la porta aperta alla partecipazione e al conflitto per dare un senso più vero – seppure mai definitivo – al «fondata sul lavoro». Conflitto che sembra profilarsi in termini assai severi all’orizzonte, se bisogna dare credito, di più che se fosse una provocazione canicolare, alla prospettiva ventilata da AP sul Corriere della sera del 20 luglio scorso, di por mano a una revisione della prima parte della Costituzione, ad esempio sostituendo «fondata sul lavoro» con «fondata sulla libertà». Già, perché di lavoro ce n’è a iosa per tutti, quel che manca è proprio la libertà. (Tratto da "Il Mulino" - Il diritto al lavoro. Il diario di Milivoje Ametovic con un commento di Gian Guido Balandi", 03 novembre 2017). Gian Guido Balandi
Milivoje Ametovic
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