I rischi globali del conflitto israelo-palestinese
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L’accordo del 1994 tra Rabin e Arafat avrebbe potuto essere risolutivo, ma con l’assassinio di Rabin e l’avvento al potere della destra di Netanyahu il futuro mediorientale coinvolge le maggiori potenze globali Il futuro del conflitto nel Medio Oriente è incerto. Molti conflitti hanno segnato la storia, ma, in generale, hanno trovato una soluzione più o meno duratura e convincente. Il confitto israelo-palestinese non ha trovato nel corso di molti decenni una soluzione. E oggi si presenta in termini più vasti e più gravi, in grado di influenzare la poltica globale. 1. Per Netanyahu, nuovamente a capo del governo di Israele, non esisteva un problema palestinese o, comunque, era secondario. La sua attenzione era rivolta alle politiche costituzionali interne sulle quali si era aperto uno scontro con i partiti dell’opposizione. L’attacco palestinese era considerato al di fuori di ogni realistica possibilità. Una strana previsione se si considera che, secondo un’opinione oggi accreditata da una parte della stampa, i palestinesi si preparavano all’invasione da due anni. Non sappiamo se questa versione sia fondata. Ma resta il fatto che i 40 chilometri della Striscia di Gaza, con uno stretto confine con l’Egitto, erano isolati dal resto del mondo. Due milioni e trecentomila palestinesi erano rinchiusi in una sorta di prigione a cielo aperto, con uno dei tassi di popolazione più alti al mondo - l'età media è di circa 18 anni - e dove l’incerto cibo quotidiano dipendeva in gran parte da enti di beneficenza internazionali. Israele aveva ignorato l'accumulo di armi e la preparazione dell'assalto di Hamas dentro i confini di Israele. Una circostanza per molti versi sorprendente se si considera l'estrema capacità di Israele di controllare militarmente il territorio palestinese. Ma l'aggressione è avvenuta. E Netanyahu ha deciso una reazione considerata a livello internazionale senza proporzioni con le conseguenze dell’attacco subito. A parte la striscia di Gaza, la Cisgiordania, dove vivono poco meno di tre milioni di palestinesi - a sua volta frammentata da un centinaio di insediamenti israeliani - e la parte palestinese di Gerusalemme, possono solo assistere alla frantumazione della striscia di Gaza con oltre due milioni di palestinesi.* Una situazione che non ha confronti nel resto del mondo dopo la fine, a metà del secolo scorso, dell’era coloniale. 2. C’è da chiedersi se il conflitto fra Israele e la Palestina non fosse (o non fosse stato) evitabile nel corso dei decenni che lo caratterizza. La risposta è positiva quanto ormai perduta in una storia che annuncia un futuro segnato da incognite che per molti versi investono una vasta parte dell’assetto globale. Sarebbe stato - o si mostrava - del tutto evitabile nel quadro di un accordo ideato dalla Norvegia con una dimensione europea, da un lato, e dagli Stati Uniti sotto la direzione di Bill Clinton, dall’altro. Era il 1994 quando, dopo oltre trent’anni di conflitto, un accordo fu stipulato fra Rabin capo del governo di Israele e Arafat a capo del governo provvisorio della Palestina. La Palestina avrebbe ottenuto l’indipendenza e Israele il governo della “terra promessa” insieme con il riconoscimento palestinese. Fu un passo in avanti apprezzato in tutto il mondo. Ma Rabin, principale fautore dell’accordo, fu assassinato nel 1995 da un giovane militante della destra israeliana. Un anno dopo il governo passò nelle mani di Netanyahu, rappresentante della destra israeliana. Arafat fu insignito nel 1998 della massima onorificenza della Repubblica italiana diretta da Carlo Azeglio Ciampi per i meriti acquisiti nella stipula dell’accordo fra Israele e Palestina. Ma il nuovo governo israeliano di destra guidato da Netanyahu aveva ormai bloccato l’accordo. Fu addotta come ragione la posizioni tendente a consentire l’afflusso in Palestina di circa 500 mila palestinesi che nel corso degli anni il conflitto aveva portato altrove. Non era un caso senza precedenti. Dopo il 1990 alcune centinaia di migliaia di cittadini russi per ragioni politiche o religiose erano affluiti in Israele. In realtà, i nuovi governi d’Israele formati dalla destra respingevano l’accordo del 1984 fra Rabin e Arafat. Lo scontro riprese all’inizio del nuovo secolo. Arafat, colpito da una malattia rimasta di incerta qualificazione, morì in un ospedale di Parigi a novembre del 2004. Le origini della malattia rimasero indefinite. Per un gruppo di medici svizzeri si era trattato di un caso di avvelenamento. Ma la causa del decesso rimase controversa. All’inizio del 2000 l’accordo che si sarebbe dovuto attuare nel corso di cinque anni era rimasto inattuato. Fu l’inizio della seconda Intifada. Alla fine del 2005 Israele lasciò la striscia di Gaza che successivamente passò sotto la direzione di Hamas che aveva vinto le elezioni, mentre Abu Mazen, rappresentante di Al Fatah, dirigeva la Cisgiordania. L’accordo fra le due rappresentanze palestinesi fu stabilito nel 2010. Ma erano passati quindici anni dall’uccisione di Rabin e dall’accordo con Arafat in rappresentanza del popolo palestinese. Israele continuò a essere dominata da governi di centrodestra e le speranze di un accordo continuarono ad allontanarsi. 3. Conosciamo la situazione attuale. La fondazione di Gaza risale a oltre un millennio prima dell’era cristiana, è stata più volte attaccata e semidistrutta ma è sempre rinata. Senza Gaza la Palestina si riduce alla Cisgiordania – in parte occupata da israeliani - e a una parte minore di Gerusalemme dentro la quale s’innalza la terza più importante moschea - in grado di contenere oltre 5000 fedeli - della religione musulmana, dopo le moschee della Mecca e di Medina. La questione palestinese investe, in effetti, l’intero Medio Oriente nel quale sono in corso profondi mutamenti e un suo generale riassetto. L’accordo che, a determinate condizioni, sembrava possibile fra Arabia saudita e Israele si scontra con la nuova e imprevista realtà della guerra. Ma vi è di più. Dopo anni di scontro politico, Riad ha stabilito un accordo con l’Iran all’insegna della mediazione del presidente della Xi Jinping. La Cina ha assunto un ruolo importante nel Medio Oriente e non può accettare la sostanziale liquidazione di Gaza e della prospettiva di una Palestina dotata di una propria indipendenza nel riconoscimento del ruolo di Israele. Dal canto suo l’Arabia saudita punta a una posizione congiunta con l’Iran con il quale ha stabilito, con la mediazione della Cina, un accordo che cambia lo scenario mediorientale caratterizzato dallo scontro fra i due paesi. L’Iran ha, a sua vota, rapporti diretti con l’Iraq e la Siria e, soprattutto, con Hezbollah in Libano che dispone di un esercito di 70 mila soldati al confine con di Israele. In sostanza, lo scontro che ora investe con conseguenze catastrofiche la striscia di Gaza si colloca al centro di un confronto che coinvolge le maggiori potenze mediorientali. La destra israeliana, al governo con poche varianti da oltre un quarto di secolo, dopo l’iniziativa di pace di Rabin e Arafat, ha puntato sull’espansione di Israele con l’esclusione della striscia di Gaza. Ma il conflitto più lungo della storia del secondo dopoguerra ha in realtà assunto nuove dimensioni. Non ha più caratteristiche relative a una parte minore del Medio Oriente. Coinvolge più o meno direttamente le maggiori potenze a livello globale.
La soluzione che sembrava possibile e accettabile dalle due parti è stata dispersa. Ora il futuro mediorientale e per molti versi globale è diventato drammaticamente incerto. La liquidazione della Palestina come territorio in frantumi si ripropone al centro della poltica mondiale coinvolgendo più o meno direttamente le maggiori potenze globali dagli stati Uniti alla Cina oltre ai maggiori paesi mediorientali. Un quadro nel quale il ruolo dell’Europa appare secondario se non totalmente insignificante. ____ * Nota Antonio Lettieri
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