Gli omicidi bianchi del lavoro nero

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Di fronte a tanti morti, la denuncia è necessaria ma non sufficiente. Giustificato  il malessere popolare, che cresce col fenomeno intollerabile degl’infortuni. 
La tragedia degl’infortuni sul lavoro rimane scottante ma indietreggia, surclassata dal Covid. Le chiamano “morti bianche” quanti pensano che l’aggettivo alleggerisca la gravità del sostantivo. Invece, se non causate da fatalità o disattenzione o impreparazione della stessa vittima – non sempre da escludere! – le morti sul lavoro vanno chiamate “omicidi bianchi”.
 
Dal dossier del Corriere del Mezzogiorno a cura di Simona Brandolini, apprendiamo poi che, nella tragica materia, “in termini numerici la Campania è la seconda Regione d’Italia”, ma è prima per “l’indice d’incidenza della mortalità, cioè il rapporto degl’infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa”. Ed è ciò che conta statisticamente, benché appaia strana la differenza tra Lombardia e Campania: in Lombardia più occupati più morti; in Campania meno occupati più morti. Il primato certo non piacerà al Presidente De Luca, orgoglioso di scandire con enfasi ben altri primati della Regione; e d’esprimere disappunto se disconosciuti dall’informazione dei servizi televisivi nazionali.  
 
Invero è più apparente che reale il paradosso della differenza tra Lombardia e Campania. Qui l’area più vasta dell’occupazione è il lavoro nero. Giovanni Sgambati, Segretario UIL-Campania, ricorda che “il 40% degl’incidenti si registra tra lavoratori irregolari”: soprattutto nell’agricoltura e nell’edilizia privata. In cui  forse ciò dipende pure dalla “fretta per provvedimenti anche positivi come il Superbonus”. Indubbiamente il primato degl’omicidi bianchi rientra negl’effetti perniciosi della disastrata situazione del lavoro al Sud. Dove l’alta disoccupazione genera: precarietà degl’occupati; falso lavoro autonomo; lavoro nero; bassi salari.

Giustificato dunque il malessere popolare, che cresce col fenomeno intollerabile degl’infortuni. Perciò ultimamente – assieme al quotidiano bollettino di morti sul lavoro, aumentati a dismisura, e all’inquietudine di lavoratori e opinione pubblica – abbiamo ascoltato accorate esternazioni delle più alte cariche dello Stato e degli Enti locali. Dal Presidente Mattarella al Presidente Draghi; dal Ministro Orlando al Presidente De Luca al Sindaco Manfredi. Come pure di Papa Francesco e di Vescovi, tra cui l’Arcivescovo di Napoli Battaglia.

Tuttavia, di fronte a tanti morti, la denuncia è necessaria ma non sufficiente. I religiosi ovviamente possono solo celebrare funerali e predicare appellandosi alla responsabilità delle istituzioni e alla coscienza degl’imprenditori. Invece la denuncia di chi governa è inutile se non seguita da interventi tempestivi e razionali capaci d’affrontare di petto il problema. E qui, come suol dirsi, casca l’asino! La materia degl’infortuni, infatti, rientra nella competenza di varie istituzioni: Ministero del lavoro, tramite gl’Ispettorati, cui toccano vigilanza e funzioni di polizia amministrativa; Regione, cui fa capo il Servizio sanitario, alle cui Aziende spetta prevenzione e controllo. C’è poi l’INAIL: per prevenzione, formazione e  consulenza, nonché per sostegno (anche finanziario) alle imprese nell’adozione di misure prevenzionistiche, oltre che per gl’aspetti assicurativi.
 
Dunque non mancano organismi pubblici per prevenire, vigilare e reprimere condotte causa d’infortuni. Sono anzi pure troppi! Tanto che sovrapposizione e confusione di competenze fanno sì che le responsabilità istituzionali finiscano col frammentarsi fino a scomparire. Troppi organismi e labilità dei confini tra i relativi compiti agevolano infatti lo scaricabarile. Risultato sintetizzabile con altro eloquente aforisma: “quando cantano troppi galli non spunta giorno”.
 
Non aiuta l’ultimo decreto-legge 21 ottobre 2021 n. 146, convertito nella legge 17 dicembre 2021 n. 215 («Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili»). All’art.13 allarga compiti uguali di vigilanza e controllo: sia degli Ispettorati del lavoro sia delle ASL. Ecco l’intervento “indifferibile” dopo i morti giornalieri: aumento della confusione. Siccome sono pochi gl’Ispettori del lavoro e gl’Ispettori delle ASL, se ne parificano i compiti di controllo. Secondo il Segretario-UIL Sgambati, per tutta la Campania sono attivi soltanto 6 o 7 Ispettori. E in periodo di pandemia le ASL non stanno meglio.

Insomma il legislatore italiano non perde il vizio: legifera sempre nell’emergenza; non adegua l’organizzazione; sparpaglia le norme in un tale maremagno di leggi e leggine da confondere financo gl’operatori. In sostanza nemmeno su eventi gravi – letali per tante persone (spesso giovani) e dolorosi per tante famiglie – si riesce a concepire una “riforma di sistema”. Una legge organica con distribuzione chiara e precisa di competenze e attribuzione di compiti a funzionari all’altezza (per qualità e quantità).

(Articolo pubblicato dal Corriere della Sera -.Corriere del Mezzogiorno)
Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.