Eurozona, una nuova stagione è possibile

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Per la prima volta  la maggioranza nel Parlamento europeo diventa instabie dopo la débacle dei partiti di centrosinistra nei tre maggiori pasi dell'eurozona. 

Ha suscitato sorpresa e un certo sconcerto l’elezione di Ursula von der Leyen alla testa della Commissione europea con una maggioranza di solo nove voti (383 su 748). La Commissione ha il compito di orientare e far valere le proprie posizioni nei confronti dei governi di 28 paesi dell’Unione europea. Compito vasto e impegnativo in qualsiasi caso. Ma tanto più, quando alla testa di un organismo investito di un compito così vasto la leadership è priva di un significativo riconoscimento.

Ma, in effetti, non è la prima volta che il presidente è eletto con una maggioranza ristretta. La novità deve essere cercata in un’altra direzione. Ursula von der Leyen deve infatti l’elezione ai voti di partiti al governo in Italia (Cinque stelle), Polonia e Ungheria ai quali si era duramente contrapposta la Commissione uscente. In altre parola, si è verificato un inatteso rovesciamento della maggioranza che ha appoggiato la Commissione europea nel corso degli ultimi cinque anni. 

1.   Iin effetti, non è la prima volta che il presidente è eletto con una maggioranza ristretta. La novità deve essere cercata in un’altra direzione. Ursula von der Leyen deve infatti l’elezioe ai voti di partiti al governo  in Italia (Cinque stelle), Polonia e Ungheria ai quali si era duramente contrapposta la Commissione uscente. In altre parola, si è verificato un inatteso rovesciamento della maggioranza che ha appoggiato la Commissione europea nel corso degli ultimi cinque anni.

Questa non è tuttavia l’unica novità. La più importante è che per la prima volta nei 40 anni di vita del Parlamento europeo, i due partiti chiave, conservatori e socialdemocratici, non hanno la maggioranza. Le maggioranze dovranno formarsi di volta in volta a seconda dei temi e delle posizioni dei governi.

Poiché, secondo il modello istituzionale europeo, il diritto d’iniziativa spetta alla Commissione e al Parlamento spetta di deliberare sulle sue proposte, col venir meno di una maggioranza precostituita queste sono soggette al rischio concreto di essere respinte. Von der Leyen ha mostrato di esserne consapevole,  ammettendo che dovrà cercare il consenso sulla base di maggioranze variabili in un Parlamento per la prima volta caratterizzato da una forte frammentazione.

In altri termini, le decisioni della Commissione passeranno al vaglio del Parlamento sottoposte non solo allo scrutinio della minoranza ma anche delle diverse componenti della maggioranza che rappresentano punti di vista e interessi potenzialmente divergenti degli Stati membri.

Un motivo di rammarico per le due principali formazioni politiche abituate a governare senza effettiva opposizione, ma anche un passo avanti verso un’organizzazione fisiologicamente più democratica delle istituzioni europee.

2.   La novità sostanziale che caratterizza il risultato delle elezioni deve essere individuata su un altro terreno: la perdita di consensi del gruppo Socialisti & Democratici, uno dei due pilastri della maggioranza che in passato ha stabilmente governato l’Unione europea.

La coppia franco-tedesca ha imposto le scelte principali del nuovo gruppo dirigente dell'UE. Macron ha imposto Christine Lagarde che lascia la direzione del Fondo monetario internazionale, evitando Weidmann della Bundesbank. E la Germania ha ottenuto la presidenza della Commissione, sia pure dovendo rinunciare a Weber iniziale candidato del Partito popolare europeo, mentre alla presidenza del Consiglio dei capi di governo va, al posto del polacco Tusk, il liberale belga …proposto da Macron. Una triade al vertice del’UE nella quale spicca l'assenza di rappresentanti dei partiti europei di centrosinistra. In sostanza, il consolidamento della  coppia franco-tedesca, mentre David Sassoli del Partito democratico, eletto con una minoranza di voti, va alla presidenza del Parlamento al posto di Tayani e lo spagnolo Josep Borrell, socialista, al posto di Federica Mogherini per la politica estera.

Un cambiamento che sposta a destra l’asse dell’Unione europea, se si considera che negli anni in cui è stato definito l’attuale assetto della Ue i governi di centrosinistra erano alla testa  di una larga maggioranza degli Stati membri. E che, senza la scelta determinante dei governi a guida socialista l’adozione dell’euro sarebbe stata fortemente compromessa e probabilmente impossibile. Per molti versi l’euro fu negli anni novanta il traguardo dei partiti dei governi di centrosinistra. In  primo luogo, dei socialisti francesi sotto la guida di Mitterrand,  Mitterrand Delors e Jospin.

Il quadro è oggi rovesciato. In Francia le elezioni europee hanno decretato la sostanziale scomparsa del Partito socialista per un secolo e mezzo protagonista al governo o all’opposizione della politica francese.

Sull’altra sponda, la SPD tedesca dai natali risalenti al tempo di Marx, e alla testa della Germania, dopo l’adozione del nuovo programma riformista di Bad Godesberg nel 1959, con i governi di Willy Brandt, Helmut Smith e, negli anni più recenti, di Gerhard Schroeder , è oggi ridotto a un partito minore scavalcato dai Verdi con meno del 16 per cento dei voti, e secondo i più recenti sondaggi ridotto al 12 per cento dell’elettorato..

 Quanto all’Italia, la sconfitta del Partito democratico, erede della tradizione socialista e democristiana, si è definitivamente consumata con le elezioni della primavera del 2018 e la nascita del nuovo governo giallo-verde.  Siamo così di fronte alla disfatta in tre paesi fondamentali nella costruzione dell’eurozona dei partiti di centrosinistra che ne furono i principali architetti.

Diversamente si presenta il caso spagnolo. Qui il Partito socialista diretto da Pedro Sánchez è tornato a essere il primo partito con le elezioni di giugno, dopo  la lunga fase dominata dal Partito Popolare guidato con esiti disastrosi da Mariano Rajoy. Ma la formazione di un nuovo governo a guida socialista rimane incerta. Avendo Sánchezrespinto la possibile coalizione con Podemos proverà a formare un governo di minoranza. Se non vi riuscirà, la Spagna dovrà affrontare nuove elezioni che potrebbero definitivamente favorire lo schieramento di destra.

Si può osservare che l’eurozona ha fatto anche altre vittime , sia pure in una misura meno dirompente. I partiti conservatori non sono sfuggiti alla crisi che colpisce l’eurozona.  In Francia, Il partito fondato da Macron, La République En Marche, ha ottenuto meno del 24 per cento dei voti, superato dal nuovo Ressemblemant National  di Marine Le Pen. In Germania la coppia CDU-CSU, che ha governato la Germania per la maggior parte del tempo negli ultimi 70anni ha visto ridursi il suo sostegno al livello più basso degli ultimi 70 anni col 28 per cento dei voti, ancora in riduzione, secondo i più recenti sondaggi, al punto da essere sopravanzata dal Verdi.

 3.   La crisi dei vecchi partiti dominanti non è casuale. L’eurozona è l’area a più bassa crescita e il più alto tasso di disoccupazione nel mondo sviluppato.

Questa constatazione è tanto più significativa se si considera che l’arretramento non investe l’Unione europea nel suo complesso ma specificamente l’eurozona. La Gran Bretagna è dilaniata da oltre due anni dal dibattito sull’uscita dall'UE con evidenti riflessi negativi sulla crescita interna. E tuttavia, il suo tasso di crescita di appena l’1,5 è maggiore di quello della Francia, della Germania e dell’Italia; mentre il tasso di disoccupazione è significativamente più basso della media dell’eurozona e, in particolare, dell’Italia e della Francia.

Stabilmente maggiore è la crescita della Svezia al di fuori dell'eurozona. Lo scarto è ancora più rilevante rispetto ai paesi dell’Europa centrorientale rimasti fuori dall’euro. La Polonia che è il maggiore fra di essi cresce a un ritmo intorno al 4 per cento, riassorbendo parte della emigrazione passata e aprendo le porte ai migranti provenienti dall’Ucraina.

C’è chi sostiene che i paesi dell’euro registrano una crescita ridotta per la bassa produttività di alcuni paesi che ne riduce il ruolo nei mercati internazionali. La Germania contraddice clamorosamente questa valutazione, essendo il paese con il più alto avanzo commerciale a livello globale. La sua crescita ridotta è esclusiva conseguenza della politica economica interna segnata dal contenimento della spesa pubblica finalizzato al pareggio del bilancio (ormai in avanzo), e come testimonianza della fedeltà al principio dell’equilibrio del bilancio pubblico proclamato come un articolo di fede dalle autorità dell’eurozona.

Né la mancata crescita dell’Italia può essere imputata a una supposta bassa competitività nei mercati internazionali. L’Italia ha il più alto avanzo commerciale in Europa dopo la Germania, e il più alto fra i paesi sviluppati insieme  al Giappone e alla Corea del Nord, mentre  perfino  la Cina presenta per la prima volta nel 2018  una bilancia commerciale in pareggio, secondo le stime del Fondo Monetario.

Il problema non è nella competitività ma nella caduta dei consumi interni che si associano al crollo degli investimenti. Una sostanziale lunga stagione di sottosviluppo che genera un livello di disoccupazione che, dieci anni dopo l’esplosione della crisi, continua a oscillare al di sopra del 10 per cento, toccando nel Mezzogiorno l’abnorme livello del 20 per cento, paragonabile, se non ormai superiore, a quello della Grecia.

In un paese che non cresce, gli investimenti privati latinano ad esclusione di quelli che trovano  uno sbocco all'estero nel settore manifatturiero e in alcuni servizi collegati al turismo.

Il problema come la possibile soluzione sono alla luce del sole. Alla caduta dei consumi e degli investimenti privati si può reagire solo con un aumento massiccio di investimenti pubblici nei settori con un elevato impatto sul tasso di crescita dell’economia. Per andare in questa direzione bisogna sganciare la spesa per investimenti dal calcolo del disavanzo di bilancio – disavanzo che,  secondo le regole europee, deve puntare all'azzeramento. Un gatto che si morde la coda. Non puoi ridurre il disavanzo determinato in larga misura da spese incomprimibili senza accrescere il prodotto interno lordo con una politica di investimenti dotata di un elevato moltiplicatore del reddito rispetto alle risorse impiegate dal lato della spesa pubblica.

La nuova Commissione europea gestirà il rapporto con gli Stati membri in modo flessibile, ha dichiarato la nuova presidente von der Leyen, riconoscendo, come abbiamo visto, che nel Palamento europeo potranno formarsi maggioranze variabili. In altri termini, si annuncia una possibile nuova fase nella valutazione del livello del disavanzo di bilancio finora considerato opera del diavolo. Ma questa rimane un’ipotesi da verificare concretamente sulla base della poltica che adotteranno le istituzioni europee nella nuova formazione scaturita dalle elezioni di maggio. Non sappiamo in che misura si farà strada una ragionevole poltica di flessibilità finalizzata al sostegno degli investimenti pubblici come fonte di una maggiore crescita

Ma un fatto è certo. L’Italia ha l’assoluta necessità di inaugurare una nuova fase per liberarsi dalla corda al collo della stagnazione, di una disoccupazione che punisce le nuove generazioni obbligandole a un'emigrazione di massa. E ha un governo che con tutte le sue contraddizioni interne, si distingue da quelli che l’hanno preceduto nel decennio della crisi.

Con la definizione del nuovo bilancio per il triennio 2020-2022 si presenta l’occasione per un programma pluriennale connotato da un elevato livello di spesa pubblica per investimenti finalizzata a un elevato moltiplicatore dell’occupazione.

Il nuovo quadro europeo apre la strada a un possibile cambiamento. Ma il fatto che sia la linea più ragionevolmente praticabile non significa che sarà adottata. La tendenza ancora prevalente è la ricerca di variazioni al margine che consentano uno stato di sopravvivenza piuttosto che l’avvio a un nuovo corso.

Se si perderà l’occasione di un cambiamento significativo in un quadro europeo che si presenta nuovo per tutte le ragioni che abbiamo sommariamente evocato, sarà difficile, se non impossibile, uscire dalla situazione che si è determinata nel corso di un decennio fallimentare. Un decennio perduto che non può essere addebitato all’euro, ma alle politiche che gli sono state sovrapposte dalle autorità di Bruxelles con la complicità dei governi nazionali. L’occasione per un cambiamento significativo  delle vecchie politiche è l’esito possibile delle elezioni di maggio. Un cambiamento necessario se si vuole salvare l’euro, liberandolo dalle catene delle politiche nefaste imposte all’eurozona.

Antonio Lettieri
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