Cosa lega leaderismo e autonomia

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Il presidenzialismo può facilmente tradursi in una mezza-dittatura dell’“unico eletto al comando”.

 Già nel programma elettorale dei partiti di destra – diventato programma di Governo – campeggiava l’ipotesi di due importanti riforme istituzionali. L’una: l’“autonomia regionale differenziata”; l’altra: il cosiddetto “presidenzialismo”. Per me entrambe da contrastare per ragioni diverse. Secondo la Presidente Meloni tali riforme sarebbero state interdipendenti, da attuare con procedure parallele: in pratica sarebbero andate a braccetto. Sennonché, mentre l’autonomia regionale differenziata ha fatto passi avanti per l’incessante pressione della Lega-Nord, il presidenzialismo al momento pare fermo.

Di tanto in tanto riemerge in qualche dibattito e non si sa se davvero se ne sta occupando la Ministra Casellati. Comunque se ne parla poco o per niente. Naturalmente, avendo davanti un’intera legislatura, difficilmente la destra vi rinuncerà. Forse anzi ne farà una bandiera identitaria, come Salvini dell’autonomia regionale differenziata. Intanto però, siccome il presidenzialismo è un problema di prima grandezza, meglio cominciare presto a discuterne.

Per ora, col disegno di legge Calderoli, l’autonomia regionale differenziata viaggia da sola a velocità moderata: approvata dal Consiglio dei Ministri sta davanti al Parlamento. Ma già solleva aspre critiche: dell’opposizione, degli Enti locali e delle Regioni del Mezzogiorno. Che (escluse – chissà perché? – le Regioni governate dalla destra) sono contrarie logicamente all’ipotesi di rompere l’unità del Paese: lasciando indietro il Sud, lede il fondamentale principio dell’eguaglianza di tutti i cittadini della Repubblica, per Costituzione “una e indivisibile”.

C’è pertanto d’aspettarsi financo la sollevazione delle popolazioni meridionali, che magari Salvini cerca di ammansire colla promessa del Ponte sullo stretto siciliano: bontà sua! Peraltro sull’autonomia regionale fa passi avanti un’iniziativa popolare di legge costituzionale – per cui è in corso la raccolta delle firme necessarie alla presentazione in Parlamento – volta a riscrivere ex novo le norme costituzionali in materia, improvvidamente approvate nel 2001 dal centrosinistra.

Certo la Lega-Nord ha approfittato del fatto che, mentre per l’autonomia regionale differenziata basta una legge ordinaria – cioè non occorre toccare la Costituzione, fermo restando il palese contrasto con varie disposizioni della stessa Carta (ma dovrà pensarci la Consulta) – il presidenzialismo richiede la procedura aggravata d’una “legge costituzionale” poiché stravolge l’intero impianto istituzionale del nostro Paese. Provocherà quindi forti contrapposizioni e troverà sulla sua strada ostacoli non facilmente superabili.

In ogni caso – lasciando ai più competenti l’analisi dei complessi problemi di tecnica giuridico-costituzionale – parlando di “presidenzialismo” viene naturale guardare alle due vicende internazionali, che abbiamo in questi giorni sott’occhio, riguardanti la Francia e gli Stati Uniti d’America (limitandoci all’Occidente). Vicende molto diverse tra loro ma quanto mai emblematiche: fanno capire i gravi limiti della democrazia presidenziale confrontata con la democrazia parlamentare. 

Guardando alla Francia fa riflettere l’aspro conflitto – manifestato da incredibili violenze a Parigi e in varie città della Francia – tra il Presidente Macron e il popolo francese. Originato dalla riforma delle pensioni (giusta o ingiusta che sia: non è questo il punto), il conflitto però sembra allargarsi ad altre rivendicazioni.

Sorprende comunque che il Presidente francese abbia addirittura esautorato il Parlamento – cioè la rappresentanza democratica – mentre destra, sinistra e sindacati esprimono la contrarietà della grande maggioranza del popolo alla politica del Presidente, irremovibile. Anche perché, guarda caso, non ha il problema di farsi rieleggere avendo già fatto i due mandati.

La vicenda degli Stati Uniti è molto diversa ma più pregnante, sebbene abbia poco a che vedere con la differente struttura dello Stato italiano.

In tanto qui se ne parla in quanto la “destra presidenzialista” insiste sempre – a sproposito – sull’insostenibile paragone Italia/USA. Ebbene il Presidente Biden, per portare avanti i suoi progetti di legge, deve fare continuamente il tira e molla con la rappresentanza parlamentare. In nessuna delle due Camere ha la maggioranza (in una è in minoranza, nell’altra s’equivalgono maggioranza e minoranza).

Lasciamo perdere poi quanto è successo coll’ex Presidente Trump: che adesso alcuni vogliono mettere in galera e altri vogliono rieleggere alle prossime elezioni.

La verità è che il presidenzialismo può facilmente tradursi in una mezza-dittatura dell’“unico eletto al comando”, benché a termine. Sempre che magari l’eletto – tipo l’incauto Trump – non spinga il “suo” popolo a rivoltarsi, e con violenza, contro i risultati elettorali a lui sfavorevoli.

Certo bisognerà ritornare sui tanti problemi cruciali del presidenzialismo, ma una cosa è certa: esso suscita grandi perplessità e conviene da subito avanzare altrettante riserve!

(Da Corriere del Mezzogiorno, 26 marzo)

Mario Rusciano

Professore Emerito di Diritto del lavoro, Università di Napoli Federico II.