Comunità o società?
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La comunità necessita di un territorio dai confini precisi e di legami sociali, affettivi, culturali tra i suoi memri, in assenza del quali non può esserci democrazia autentica. Il successo del BSW di Sahra Wagenknecht in Germania dovrebbe condurre a una riflessione più approfondita e meno corriva di un fenomeno politico che rappresenta la vera novità di quest’anno in Europa. Liquidato come ennesima espressione del populismo montante (populismo, parola passe-partout che consente di definire un fenomeno senza conoscerlo), di cui non vale neppure la pena di parlare (vedi il silenzio quasi assoluto dei giornali mainstream, che si compiacciono di definirlo un “partito rosso-bruno”), il BSW ha avuto il merito di ricondurre alla ribalta questioni e temi pressoché dimenticati. Tra questi la centralità del Gemeinsinn, (“spirito comunitario”) e del Zusammenhalt (“coesione”) per definire una strategia politica di lunga lena, entrambi ricollegabili al concetto di Gemeinschaft (“comunità”). Nel 1887 Ferdinand Tönnies pubblicò un libro destinato ad avere una grande eco[1]. Dice Tönnies: “La teoria della società [Gesellschaft] riguarda una costruzione artificiale, un aggregato di esseri umani che solo superficialmente assomiglia alla comunità [Gemeinschaft], nella misura in cui anche in essa gli individui vivono pacificamente gli uni accanto agli altri. Però, mentre nella comunità gli esseri umani restano essenzialmente uniti nonostante i fattori che li separano, nella società restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono”. Esattamente quarant’anni più tardi, nel 1927, Hugo von Hofmannsthal utilizza per la prima volta l’ossimoro Konservative Revolution[2]. Nata in Germania tra il primo e il secondo tempo della Grande Guerra Mondiale (1918 – 1939), si caratterizza per la eterogeneità dei suoi esponenti, ma altresì per il comune rifiuto di una concezione lineare del tempo – e quindi dell’idea di progresso – per la centralità del concetto di “Nazione”, per il primato attribuito all’arte e alle creazioni dello spirito e per la ricerca di una “terza via” tra capitalismo liberale e comunismo. A fornire la cornice a questa corrente di pensiero, pur nei suoi mille rivoli, sono in buona sostanza:
Tali “emergenze” offrirono un terreno fertile alla nascita e allo sviluppo di un pensiero variegato, ma sostanzialmente omogeneo nel mostrarsi ostile al nuovo ordine, improntato a una visione meramente materialistica e a-spirituale. Sul concetto di Gemeinschaft finiscono dunque per confluire i pensatori “di destra” (anche se non solo), molti dei quali lo coniugano utilizzando un pregiudizio razziale[5]. Ben più consona al vittorioso pensiero “progressista” liberal-democratico, come pure socialista, apparve invece la concezione della società intesa come Gesellschaft, nel senso tönniano, in cui gli individui “restano essenzialmente separati nonostante i fattori che li uniscono.” In questo senso va inteso anche il Verfassungspatriotismus (“patriottismo costituzionale”) di Jürgen Habermas che, all’indomani del 1945, tentò di dare una risposta non nazionalista, non razziale, bensì fondata su democrazia, pluralismo, libertà d’opinione allo stesso interrogativo: che cos’è una società di uomini[6]? A partire dalla celebre negazione iperliberista di Margareth Thatcher della società-Gesellschaft (“non esiste la società. Esistono gli individui, uomini e donne, e le famiglie”), l’insufficienza attuale del Verfassungspatriotismus per tenere coese le società-Gesellschaften) è palese. Testimonianza ne è, tra le tante, la marcata disaffezione al voto in tutta Europa, soprattutto tra le nuove generazioni. Liquefattosi con la scomparsa dell’URSS e dei suoi satelliti il mondo bipolare, durato poco più di un quarantennio (1945 – 1989), si è parlato di “fine della Storia”, di vittoria definitiva della liberal-democrazia, di una prospettiva di progresso “lineare”, secondo il mainstream neo-illuminista, che predica valori assoluti (la libertà, il bene, il progresso), che ha sconfitto l’Evil empire, nella definizione reaganiana dell’Unione Sovietica e che esporta la democrazia come fosse una merce, senza tener conto della storia e del contesto, forte della convinzione di perseguire comunque “le magnifiche sorti e progressive” dell’Umanità. Trascorsa una generazione, tale prospettiva comincia a mostrare evidenti crepe:
Di fronte a questo quadro così complesso e gravido di pericoli, la riflessione “a sinistra” si sta rivelando davvero povera cosa. Confinata da un canto nel recinto del pensiero woke, una sorta di gnosi moderna[7] in cui l’individuo ripudia i legami comunitari in nome di un universalismo anodino, del politically correct, ridotta sostanzialmente alla difesa dei diritti individuali “astratti”, dall’altro in quello di politiche neoliberiste travestite da progressismo (New Labour inglese, SPD versione Schröder), ha perduto il contatto con le masse, ora globalizzate, che si affacciano sulla soglia del potere sempre più numerose e sempre più “esigenti”. Il riemergere, nella riflessione di Sahra Wagenknecht, del concetto di Gemeinschaft dovrebbe fornire spunti fecondi per una azione politica che si riannodi alle tradizioni della sinistra europea. Qui si potrebbe ritrovare la visione di un nuovo blocco sociale, composto dalle classi lavoratrici, dai settori della società più economicamente disagiati, dal capitalismo nazionale, dai ceti medi, dalle piccole e medie imprese, spesso a conduzione familiare, messe a repentaglio da una globalizzazione senza governo. Gemeinschaft e non solo Gesellschaft. Una comunità che resta tale, “nonostante i fattori che separano gli esseri umani che la compongono”. La comunità tuttavia necessita di un territorio dai confini precisi e di legami sociali, affettivi, culturali tra i suoi membri, per cui è necessario contrastare ogni spinta disgregatrice del tessuto comunitario, in assenza del quale non può esserci democrazia autentica (vedi la disaffezione dalla politica). L’identità sociale fondata su base territoriale (l’incolmabile distanza tra il BSW e l’AfD si misura proprio qui: la Gemeinschaft non si definisce in base alla “razza”, alla religione, al censo o al concetto del Blut und Boden ma su base territoriale: chi abita stabilmente entro i confini della nazione fa parte della comunità nazionale) ha costituito la premessa della nascita della moderna democrazia, dai tempi dell’Atene di Clistene alla fine del VI secolo a.C., il quale compì una vera e propria rivoluzione, “mescolando” la popolazione, come dice Aristotele e ancorando le tribù, prima definite in base all’appartenenza di sangue, al territorio, per poi giungere alla Rivoluzione Francese e alle moderne democrazie del Welfare State. Certo, è evidente il pericolo di un ritorno a un mondo di piccole Patrie, dell’abbandono di una visione internazionalista (“proletari di tutto il mondo unitevi!”), ma se in politica è necessario giungere a un compromesso, è bene che questo si raggiunga sul terreno della salvaguardia del tessuto comunitario, senza il quale la democrazia è puro “ludo cartaceo”, foglia di fico posta a coprire inconfessabili interessi di pochi. Claudio Salone
Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/ |