Cile - Laboratorio del neo-liberismo e della diseguaglianza

Sottotitolo: 
Una transición lenta e incierta a la democracia, mientras que sobrevive el Plan Laboral.de la dictadura.

Sono passati 42 anni dal golpe di Pinochet che rovesciò il governo di Salvador Allende. La Junta militar attuò un piano di sterminio della parte del popolo cileno che si era impegnato nel processo di trasformazione del paese per ottenere più eguaglianza, libertà e benessere. Quella di Pinochet era una delle tante dittature militari del continente latino-americano sostenute dagli USA (fu Henry Kissinger a ordire le trame sovversive dei militari cileni). Anche il Brasile, l’Argentina e l’Uruguay subirono feroci dittature che si allearono per liquidare fuori delle frontiere dei rispettivi paesi propri cittadini che si battevano per la democrazia. Era la c.d. Operazione Condor.

Un poco alla volta, a partire dagli anni ’90, alle dittature subentrarono regimi costituzionali e, sebbene l’ombra del passato continuasse ad allungarsi su di essi, gli aspetti più brutali come gli omicidi, la pratica della tortura, le sparizioni di persone e altre gravi violazioni dei diritti umani uscirono dalla cronaca quotidiana. I diritti sociali, invece, continuarono ad essere strapazzati. In generale, può dirsi che il recupero delle libertà civili e politiche è stato meno problematico di quello dei diritti che danno forma e contenuto ad uno Stato sociale. Per questo, in tutti i paesi con alle spalle un’esperienza dittatoriale la diseguaglianza è tuttora drammatica e il Cile si distingue perché, malgrado l’avvenuta transizione democratica, la medesima oligarchia continua a detenere un enorme potere.

E’ innegabile che in Cile, sia pure con difficoltà, si siano compiuti passi importanti per mantenere viva la memoria collettiva della sua storia più recente, restituire dignità alle vittime della dittatura e punire gli assassini. Così, a Santiago è stato istituito uno splendido museo dei diritti umani, dando vita ad un precedente che altri paesi (come la Spagna) dovrebbero imitare, perché è un segmento significativo della costruzione di una cultura democratica e una coscienza civica. Visitando il museo, riesce difficile a chiunque trattenere l’emozione. Non a caso, in alcune sale, come quella ove sono conservati gli strumenti che i militari usavano per torturare prigionieri, è sconsigliato l’accesso ai minori di 14 anni.

La dittatura ha lasciato in eredità una concezione dei rapporti di lavoro e dei diritti sociali che i successivi governi democratici e le relative maggioranze parlamentari non hanno potuto o voluto modificare. A cominciare dalla stessa costituzione; la quale, varata nel corso dell’ultima stagione di Pinochet, è rimasta inalterata, sia pure oggetto di un serio dibattito. Per adesso, il movimento per una nuova assemblea costituente è bloccato. La libertà di stampa è tuttora scarsa e comunque non consente un’informazione veritiera. I mezzi di comunicazione sono concentrati in mano a pochi; il impedisce il formarsi di un’opinione pubblica pluralistica.

Il Cile è stato uno dei primi paesi latino-americani a concedere il diritto di costituire associazioni sindacali, anche se a tale riconoscimento i conservatori furono costretti dalla crescita spontanea di sindacati fuori-legge capaci di suscitare mobilitazioni di massa. Fu una legge del 1924 a prevedere il diritto di fondare sindacati. Era una legge autoritaria: subordinava la legalizzazione del sindacato neo-nato al gradimento del Capo dello Stato, introduceva forme penetranti di controllo del potere pubblico sulle dinamiche interne all’organizzazione, ammetteva soltanto la contrattazione aziendale e vietava la contrattazione collettiva sia nell’agricoltura (verrà ammessa soltanto nel 1964) che nel pubblico impiego. Inoltre, prevedeva la conciliazione obbligatoria dei conflitti collettivi.

Soltanto nel 1931 si ammise la contrattazione collettiva di categoria e si riconobbe il diritto di sciopero, vietando al tempo stesso il crumiraggio. Ad ogni modo, per vedere pienamente riconosciuta la libertà sindacale bisognerà aspettare la costituzione voluta nel 1971 dal governo di Unidad Popular di Allende. Due anni dopo, il tasso di sindacalizzazione raggiungerà la vetta (mai raggiunta in precedenza) del 34% della popolazione attiva e, nel 1972, aveva decollato un’esperienza molto interessante: quella dei “cordones industriales, ossia organizzazioni imprenditoriali autogestite pensate come risposta alla serrata (specialmente nel settore del trasporto su gomma, fondamentale in Cile) che stava provocando una forte diminuzione nell’ approvvigionamento di molti prodotti di largo consumo.

Due sono le fasi delle politiche del lavoro della dittatura; per quanto siano differenti tra loro, la violenta repressione di ogni dissenso è il loro comune denominatore. Dapprima, si cercò d’imporre un modello sindacale di stile franchista che comportava la soppressione della libertà sindacale, demonizzava lo sciopero e la contrattazione collettiva era piegata all’interesse dell’impresa. Già nel 1975, però, si cambiò spartito; non i musicanti.

Se la prima fase s’ispira al fascismo realizzato, la seconda s’ispira al modello reaganiano: la chiamarono “Plan laboral”. Suo ideatore fu un giovane ministro che aveva seguito un dottorato in un college degli USA, dove era entrato in contatto con le idee di Friedman e Hayek. L’impatto della sua attuazione colpì in tutte le direzioni, ma la maggiore devastazione fu subita dal sistema pensionistico di cui si impose la privatizzazione integrale. Soltanto militari e poliziotti si opposero al cambiamento della regolamentazione della pensione e conservarono il più favorevole trattamento precedente. Criminali, però non idioti.

L’istruzione venne considerata un’attività mercantile, università inclusa; il che determinò la diffusione di tutti i tipi possibili di enti privati, molti dei quali di bassa o bassissima qualità. Per pagarsi gli studi, gli studenti universitari devono chiedere prestiti per restituire i quali impiegheranno anni. E’ per questo che tra il 2012 e il 2013 si registrano manifestazioni di protesta che, come dirò più avanti, avrebbero contribuito al cambiamento del quadro politico nel 2014. Venne soppressa la giurisdizione speciale in materia di lavoro per sostituirla con la lenta e costosa giurisdizione civile ordinaria. Alla giurisdizione speciale si sarebbe tornati negli anni ’90 inoltrati, col contributo di associazioni degli avvocati laboralistas e di alcuni giuristi accademici.

Il Plan Laboral della dittatura riconosceva formalmente la libertà sindacale, soprattutto per evitare il boicottaggio delle esportazioni cilene minacciato dai sindacati americani dell’AFL-CIO. I sindacati riconosciuti dal governo erano una caricatura di se stessi. In ossequio all’idea che la contrattazione collettiva non deve proporsi di redistribuire la ricchezza prodotta dal sistema-paese,  questi sindacati possono agire solo a livello aziendale ed hanno interiorizzato una concezione (come dire?) oltranzista del pluralismo sindacale.

Infatti, si muovono in una situazione di reciproca concorrenza, permanente e accesissima, con la conseguenza che il datore di lavoro finisce per scegliersi il partner col quale contrattare. Stante il nanismo delle imprese cilene, anche i sindacati (cui è vietato avanzare rivendicazioni a livello si settore) sono necessariamente minuscoli. Basti pensare che il 53% delle associazioni sindacali ha meno di 40 iscritti; la tutela assicurata dai contratti collettivi è circoscritta ad appena l’8,4 % degli occupati e la sindacalizzazione complessiva non supera il 14%. Per finire: lo sciopero è lecito soltanto in occasione dei rinnovi contrattuali; però, è reso assolutamente inefficace dalla legalizzazione del crumiraggio. Arcigno e rigido per quanto attiene alla dimensione collettiva, il Plan Laboral è morbido in ordine al rapporto individuale di lavoro, che è dominato dalla volontà unilaterale dell’imprenditore.

La transizione alla democrazia continua ad essere estremamente lenta

Dopo la plebiscitaria bocciatura del 1988 della richiesta di mantenere intatto il sistema istituzionale da lui instaurato, Pinochet accettò di negoziarne una riforma con alcuni partiti (tra i quali non figurava il partito comunista, peraltro fuori-legge). Il negoziato si concluse nel 1989, con l’entrata in vigore dell’attuale costituzione (che inter alia riservava a Pinochet la carica di senatore a vita).

Dopo il 1990, ad eccezione del periodo 2010-2014 che vide la vittoria elettorale della destra cilena e Presidente Pireña il cui fratello aveva fatto parte del governo di Pinochet e aveva ideato il Plan Laboral di cui sopra, il Cile è stato governato da una coalizione di partiti i più importanti dei quali sono stati la democrazia cristiana e il partito socialista. Dal 1990 al 2000 il Cile ha avuto due Presidenti democratico-cristiani (Adlwin, con Pinochet capo supremo delle forze armate, e Frey) e, salvo la parentesi del citato Pireña, i socialisti Lagos e Bachelet, la quale ultima  è stata riconfermata nel 2014.

Naturalmente, durante tutto questo periodo non è cambiata una virgola del Plan Laboral della dittatura né si è ripristinato il sistema pubblico di previdenza sociale. Le proteste studentesche contro la mercificazione dell’istruzione cui accennavo poc’anzi contribuirono a ridurre il potere della destra e difatti i partiti dell’opposizione riuniti nella coalizione “Maggioranza Nuova” (nuova anche perché ne fa parte il partito comunista) si sono impegnati a riformare il malconcio settore dell’istruzione. In effetti, il cantiere delle riforme è aperto; ma la sua attività è intralciata dalla pressione rivolta ad ottenere il finanziamento pubblico delle università private.

Grande è l’ambiguità di “Maggioranza Nuova” sulla riforma del Plan Laboral. Ad ogni modo, un progetto di legge c’è già ed è ora in discussione al Senato. Va detto subito però che gli elementi essenziali dell’originario Plan restano immutati. Il livello contrattuale privilegiato è ancora (come sempre) quello aziendale e lo sciopero, che può avere finalità esclusivamente contrattuali, resta esposto all’insidia del crumiraggio: che ci si guarda bene dal proibire con la necessaria durezza e chiarezza. Infine, con l’accordo del sindacato stipulante, il contratto collettivo d’impresa avrà efficacia per tutti gli occupati e dunque anche a quanti non hanno in tasca la tessera sindacale: ma questa innovazione è aspramente criticata dagli imprenditori che ci vedono una specie di sindacalizzazione obbligatoria.

Gli argomenti per cambiare il meno possibile il Plan Laboral della dittatura sono privi di originalità. Anzi, sono sempre gli stessi. Come dire: prevedere la contrattazione collettiva di settore; riconoscere la libertà sindacale, incluso lo sciopero; condizionare il potere aziendale nelle sue varie accezioni, tutto ciò sarebbe una sciagura per l’economia. Il che appare perlomeno grottesco se si osserva che quasi il 50% dei lavoratori regolari a tempo pieno guadagna 337 euro al mese , e il 17% meno di 218, in un paese nel quale i prezzi non sono molto lontani da quelli correnti in Italia o Spagna e i servizi pubblici non sono affatto gratuiti. Un completo trionfo del neo-liberismo.

Joaquín Aparicio Tovar

Catedrático de Derecho del Trabajo y de la Seguridad Social
Universidad de Castilla-La Mancha.
Correo electrónico Joaquín.Aparicio@uclm.es