"Canaglie” e “Gente dabbene"
Sottotitolo:
Oggi si tende a presentare la competenza come una qualità assoluta, sciolta da correlazioni con il suo intorno, laddove invece essa si qualifica solo in funzione del raggiungimento di un obiettivo. Mi fa un certo effetto sentir dire un po’ dappertutto, senza che questo susciti particolari reazioni, che Mario Draghi il Taciturno ha formato il suo governo “lontano dalle interferenze dei partiti”, che “la politica non è riuscita a offrire una soluzione ai problemi del Paese”, che i politici sono quasi per loro stessa natura “incompetenti”, un mero fardello necessariamente deposto sulle spalle “di chi sa”, solo perché in Parlamento (purtroppo?) bisogna pure andare per far approvare le leggi. La politica come “impiccio”, insomma. Si tratta di due aristocratici, profondamente avversi al governo democratico, di cui però tentano di spiegare le ragioni del successo. Il più intelligente dei due interlocutori le individua proprio in quello che sembrerebbe essere un suo grave difetto: quello cioè che consente “alla canaglia di star meglio della gente dabbene” - οἱ χρηστοί, qualcuno tradurrebbe oggi “i migliori”, “i competenti”. La dittatura del numero (traducibile anche con il termine “democrazia”) ignora di necessità le competenze settoriali, postulando una parità assoluta tra tutti i cittadini, di qualunque ceto e grado di istruzione. Dunque nulla di che stupirsi se in democrazia è alla “canaglia” che si lasciano ampi spazi di governo, visto che "è il popolo che fa muovere le navi". Quella canaglia che è composta in buona sostanza dai rematori, dai lavoratori più umili, poveri e diseredati, spinti dalla loro stessa condizione “all’ignominia e alla rozzezza”. Costoro, secondo l’aristocratico, non dovrebbero neppure essere ammessi a parlare in assemblea, dove, “se parlasse solo la gente dabbene, gioverebbe ai propri simili, non al popolo. Ora invece può alzarsi a parlare qualunque mascalzone per difendere i propri interessi.” Malgoverno ontologicamente tale, dunque, quello democratico. “Certo, se cerchi il Buongoverno è tutt’altra cosa: vedrai i più capaci - οἱ χρηστοί - imporre le leggi e la gente dabbene la farà pagare alla canaglia e sarà la gente dabbene a prendere le decisioni politiche e non consentirà che degli sconsiderati siedano in Consiglio o prendano la parola in Assemblea. Così, in poco tempo [...], il popolo - ὁ δῆμος - cadrebbe in schiavitù.” Non sono in pochi oggi “i competenti” che ritengono l’attuale Parlamento l’espressione “democratica” di una maggioranza di “sconsiderati”. Tuttavia bisognerebbe anche ricordare che, come lucidamente ci spiega l’antico aristocratico ateniese, la democrazia non è un astratto e universale sistema di governo, il luminoso punto di arrivo della storia, addirittura “esportabile” - con le tragiche conseguenze che abbiamo patito in Medio Oriente negli ultimi tre lustri e di cui la stessa storia greca ci fornisce un celebre esempio, narratoci da Tucidide, con il brutale e “democratico” annientamento della riottosa Melos da parte di Atene - ma una modalità affatto “storica” di esercizio del potere da parte di una classe o di un gruppo sociale ben preciso. In questo quadro i “competenti”, la “gente dabbene”, i “migliori” non sono super partes, indiscussi rappresentanti del Bene, ma anch’essi un partito che difende gli interessi di qualcuno. Come ho già detto nella mia precedente riflessione (“Competenze e Madonne pellegrine”), oggi si tende invece a presentare la competenza come una qualità assoluta, sciolta da correlazioni con il suo intorno, laddove invece essa si qualifica solo in funzione del raggiungimento di un obiettivo. Senza una scelta politica, un orizzonte ideologico di riferimento, sbandierare il vessillo della “competenza” può essere molto pericoloso. Adolf Eichmann era un funzionario statale serio, ligio al dovere, capace di razionalizzare i processi produttivi, di far risparmiare l’amministrazione pubblica: un “competente”, dunque. Il fatto è che nel nostro mondo è egemone da oltre un trentennio quella che un tempo si sarebbe definita “falsa coscienza”, che ha fatto sbiadire nel senso comune l’interpretazione storica dei fenomeni politici e culturali, assolutizzandoli moralisticamente in termini di Male/Bene, a tutto vantaggio di chi esercita il potere effettivo. Si potrebbe dire, a distanza di secoli, che l’acuto rappresentante dell’aristocrazia ateniese ha avuto la meglio: svilito il Parlamento a luogo di vuote chiacchiere, in quanto casa della “canaglia”, demonizzato ogni controllo burocratico da parte dello Stato, visto come mero ostacolo al pieno dispiegamento delle libertà individuali, la politica ha finito per identificarsi tout court con la “buona amministrazione” – che è sempre fatalmente “buona” solo per alcuni. Quest’anno Michail Gorbaciov compie novant'anni. Svanita la sua utopia, l’ultima grande che l’Europa ha conosciuto, di un continente unificato dall'Atlantico agli Urali su basi politiche democratiche (chi ricorda ancora la Glasnost e la Perestrojka?), il governo della complessità ha ceduto il passo all'idolatria dell’individualismo radicale, all'egemonia degli “spiriti animali”, foriera di grandi sviluppi, certo, ma anche di spaventose diseguaglianze, di un concentramento mai visto della ricchezza globale, di uno sfruttamento senza freni delle risorse naturali del globo. Questa è ormai la cornice ineludibile e inamovibile in cui vivono le nostre comunità, frantumate, atomizzate, clientelizzate. Ed è consequenziale che, all’interno di tale cornice, dove alcune grandi multinazionali hanno bilanci superiori a quelli di numerosi Stati, si invochino al governo “i competenti”, gli specialisti, i tecnici, che quella cornice si guardano bene dal mettere in discussione. A questo punto, dovremmo chiederci se non si possa fare tranquillamente a meno dei ludi democratici, che qualcuno si ostina ancora a chiamare “elezioni”. Claudio Salone
Professor of ancient literatures, Rome - https://claudiosalone39.wordpress.com/ Insight - Free thinking for global social progress
Free thinking for global social progress |