Brexit testimonia il fallimento europeo
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Il referendum britannico sanziona il distacco da una Unione che, mentre tende a cancellare la sovranità nazionale, conferisce tutto il potere a un'oligarchia priva di rappresentatività popolare e democraticamente irresponsabile. Dopo la vittoria del Brexit si tende a considerare il risultato referendario come la testimonianza del fatto che il Regno Unito è sempre stato un membro riluttante dell’Unione europea. Il risultato del referendum, dunque, come la conferma di una tendenza congenitamente avversa a mescolarsi col continente. E, per alcuni versi un chiarimento che finalmente libera l’Unione da un equivoco che ne ha sempre frenato la marcia verso una più stretta unità politica. In effetti, la storia dei rapporti fra UK e Unione racconta cose diverse. La Gran Bretagna chiese di aderire alla comunità europea sin dall’inizio degli anni sessanta, appena qualche anno dopo la sua costituzione a sei, formata da Francia, Germania, Italia e Benelux. La domanda di adesione rimase insoddisfatta durante tutti gli anni ’60 per l’opposizione della Francia di De Gaulle, gelosa del proprio ruolo dominante all’interno con l’asse franco-tedesco. La reiterata domanda di adesione fu infine accettata nel decennio successivo e il popolo britannico ratificò a larga maggioranza con un referendum popolare il sospirato ingresso nella comunità. Al tempo di Margaret Thatcher si aprì un aspro contenzioso fra il Regno Unito e la Comunità europea sulla questione del bilancio, ma la conclusione fu la riaffermazione della vocazione europea della Gran Bretagna, negli anni successivi determinante nel sostenere, a differenza della Francia, il processo di allargamento ai paesi emersi dal collasso dell’Unione sovietica. Alla luce dei fatti il Regno Unito ha non solo partecipato ma per molti versi è stata in prima linea nella formazione dell’Unione europea come la conosciamo. Ma questo non ha mai cancellato un essenziale elemento distintivo. L’Unione europea non ha mai significato per gli inglesi la cancellazione degli elementi fondamentali della sovranità nazionale. Insomma, nella sua concezione, i paesi si mettono insieme condividendo elementi di sovranità nella gestione di aspetti di comune interesse sia dal punto di vista dei rapporti economici interni che dei rapporti col resto del mondo, ma senza la cancellazione delle peculiarità della storia e delle caratteristiche sociali e politiche nazionali. L’aspetto intrigante è che questa rivendicazione di sovranità è diventata un elemento di giudizio negativo e talvolta sprezzante nei confronti della Gran Bretagna, dimenticando che la difesa della sovranità nazionale (sia pure condizionata dall’appartenenza a una comunità condivisa di Stati) era stata centrale in un paese fondatore per antonomasia come la Francia sia al tempo del generale de Gaulle che dopo. Non è un caso, infatti, che Jacques Delors, padre nobile dell’Unione europea come oggi la conosciamo, usasse definire la nuova dimensione europea come “l’Unione di Stati sovrani”. L’idea di una sovranità sovranazionale,”europea”, in opposizione e come superamento di quella nazionale, è stata coltivata in una parte dello schieramento europeista che ha avuto e ha in Italia i suoi seguaci - dai radicali di Marco Pannella a Giorgio Napolitano -ispirati dal Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli, risalente al tempo della guerra contro la Germania nazista. Ma la pluridecennale costruzione europea è andata in una direzione diversa. E non è un caso che la Francia abbia respinto nel 2005 con referendum popolare il trattato, sponsorizzato da Giscard d’Estaing, ex presidente della Repubblica, che prevedeva l’avanzamento verso una più stretta integrazione politica. La sostanza è che prima la comunità e poi l’Unione europea si sono sviluppati e ampliate fino quasi a comprendere l’intero continente, lasciando in una posizione ambigua la questione della sovranità nazionale. Ambiguità che non ha mai coinvolto la Gran Bretagna che ha mantenuto nel tempo la sua posizione assolutamente chiara contraria alla liquidazione della sovranità, testimoniandola con il rifiuto della moneta unica e del trattato di Schengen. Il referendum che sancisce l’uscita dall’Unione non è lo sviamento, come si vorrebbe far credere, di una vocazione originaria avversa all’idea prima della Comunità e poi dell’Unione europea. E’ vero il contrario. Il referendum testimonia più semplicemente e inequivocabilmente come l’uscita dall’Unione non sia l’esito finale di una congenita vocazione “antieuropea”, ma la conclusione di un processo prima di distacco poi di rigetto della polltica dell’Unione europea. In chiaro, della politica praticata nel tempo più impegnativo della sua lunga esistenza: il tempo della crisi economica e delle sue conseguenze sociali, della sua perdita di ruolo, della sua soggezione al controllo della burocrazia di Bruxelles tanto arrogante , tanto arrogante quanto democraticamente irresponsabile e priva di legittimità popolare. L’Unione europea e poi il suo sviluppo - l’euro per i paesi aderenti – doveva essere uno strumento di rafforzamento della comunità dei paesi europei di fronte alle sfide delle vecchie e nuove potenze globali. Si è verificato il contrario. L’unica area del mondo sviluppato che rimane ingabbiata nella crisi otto anni dopo la sua origine negli Stati Uniti d’America è proprio l’Unione europea. In America la disoccupazione è calata dal 10 per cento al culmine della crisi a meno del 5 per cento attuale. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione, con in testa quelli dell’euro, ha raggiunto i livelli più alti della storia europea. Dappertutto sono cresciute la povertà e la diseguaglianza. La classe operaia è stata emarginata insieme con l’emarginazione dei sindacati e la dissoluzione della contrattazione collettiva dei salari e delle condizioni di lavoro. I ceti medi hanno visto irrimediabilmente declinare status e identità sociale. La rivolta in corso in Francia contro il governo socialista (!) di François Hollande, promotore della versione francese del jobs act italiano, è una testimonianza eclatante della triste involuzione reazionaria dell’Unione. Era sbagliata l’idea di un’Europa che si fornisce di strumenti comunitari? Personalmente, ho sempre ritenuto che l’dea fosse giusta. Nella maggior parte dei paesi dell’Unione, con in testa quelli dell’euro, ha raggiunto i livelli più alti della storia europea. Dappertutto è cresciuta la povertà e la diseguaglianza. La classe operaia è stata emarginata insieme con l’emarginazione dei sindacati e la dissoluzione della contrattazione collettiva dei salari e delle condizioni di lavoro. I ceti medi hanno visto irrimediabilmente declinare status e identità sociale. La rivolta in corso in Francia contro il governo socialista (!) di François Hollande, promotore della versione francese del jobs act italiano, è una testimonianza eclatante della triste involuzione reazionaria dell’Unione.
Il risultato del referendum britannico non è la vittoria di Nigel Farage, leader dell’elettoralmente modesto partito indipendentista, ma l’affermazione maggioritaria del giudizio del popolo britannico sulla politica dell'UE, in contrasto tanto con la leadership conservatrice del governo di Cameron quanto con l’opposizione laburista di Corbyn. Non è la consacrazione di una congenita vocazione anti- europea, ma un duro giudizio sull’evoluzione della politica europea in una nuova fase politica che attraversa tutta l’Unione nella quale l'establishment europeo non ha più la capacità di imporre la sua linea politica,rivelatasi fallimentare. Con quali prospettive? Altri paesi si proporranno di indire un referendum popolare sulle sorti dell’Unione o dell’eurozona. E il risultato potrebbe essere in molti casi analogo a quello britannico. Secondo i sondaggi dell’Eurobarometro della Commissione europea la maggioranza stabile degli italiani si dichiara a favore dell’uscita dall’euro (in questo caso, non dall’Unione europea). Il referendum britannico ci dice che il re è nudo. O le forze politiche e i governi che li esprimono aprono uno scontro decisivo per cambiare radicalmente la politica dell’Unione e, in primo luogo, dell’euro. O il destino infausto dell’Unione europea è segnato. L’Europa deve prenderne atto. L’attuale politica dell’Unione si è rivelata fallimentare. Per salvare l’unità europea bisogna cambiare radicalmente la politica europea. Da domani potremo vedere chi ne prenderà atto. I veri europeisti sono quelli che avranno il coraggio di farlo. |