Brexit - Il Regno Unito e i fallimenti dell’Eurozona

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Il confronto fra le diverse politiche adottate  nel dopo-crisi aiuta a capire le radici della Brexit.

La politica economica dell’eurozona – made in Bruxelles e Berlin -  ha contribuito al successo della Brexit? Probabilmente sì e forse in modo decisivo. Vediamo l’andamento dell’economia del Regno Unito (UK) rispetto alla Eurozona (EZ) nel suo insieme (trascurando le profonde differenze al suo interno) sulla base delle statistiche Eurostat.

Il PIL delle due aree economiche ha avuto una caduta analoga nel 2009: UK -4,3% e EZ -4,5%. Ma nei sei anni seguenti (2009-2015) UK è cresciuto del 2% annuo (+12,5%) mentre EZ dell’0,8% ( +5,2%). In UK la crescita è dovuta alla domanda privata interna: consumi +49,5% e investimenti +64,4%, mentre in EZ i consumi sono cresciuti solo di 9,3% e gli investimenti di 4,9%.  La crescita di EZ è dovuta essenzialmente all’export: la bilancia commerciale è passata nei sei anni da un saldo netto di +1,4% a +4,4% sul PIL (grazie essenzialmente alla Germania), mentre la bilancia commerciale di UK è rimasta passiva, scendendo solo in modo molto lieve (da  -2,3% a 2,1%).

La differenza non è tanto nella politica monetaria; è vero che quella della Banca d’Inghilterra è stata immediatamente espansiva subito dopo lo scoppio della crisi, ma dal 2013 la BCE ha portato i tassi nettamente sotto quelli britannici, tenuti fermi allo 0,5%. La differenza più rilevante è stata nella politica di bilancio: nel 2009 UK ha portato il deficit al 10,7% del PIL, di fronte a 6,3% di EZ, e soprattutto ha ridotto il deficit in modo più graduale, fino al 4,4% del 2015, mentre EZ ha ristretto fino a 2,1%. Cumulativamente in sette anni UK ha immesso nell’economia 23,8 punti di PIL in più rispetto a EZ. Va ricordato che UK non ha sottoscritto il fiscal compact.

La differenza nell’andamento dell’economia la vediamo sull’occupazione: in UK la percentuale di occupazione (età 20-64) scende nel 2008, rispetto all’anno precedente, da 75,2 a 73,9, ma poi risale fino a 76,9 nel 2015. L’analoga percentuale EZ scende da 70,2 a 68,8 ma rimane praticamente ferma (69 nel 2015). La disoccupazione (età 15-74) sia in UK che in EZ sale nel 2009 da 7,6 a 9,6, ma poi in UK scende fino a 5,9 mentre in EZ aumenta ancora a 10,9.

Torniamo al Brexit. Le indagini Eurobarometro più recenti segnalavano una crescita della preoccupazione per l’immigrazione  e una diminuzione per la disoccupazione in UK, mentre in EZ le due preoccupazioni si ponevano allo stesso livello. Verso fine maggio, in piena campagna sul referendum, sui giornali britannici esce la notizia che il flusso di immigrati in UK è praticamente raddoppiato dal 2012 al 1015, passando da 175mila a 336mila.  David Cameron ovviamente si preoccupa e così commenta: “abbiamo avuto una situazione in cui per alcuni anni l’economia britannica è stata l’economia in crescita, l’economia che crea posti di lavoro nell’Unione europea e credo che questa sia una delle cose che stanno dietro a questi dati”, ma, ha aggiunto “questa situazione sta cominciando a cambiare perché le altre economie europee stanno cominciando a crescere”.

Evidentemente per molti elettori britannici l’interpretazione è stata di questo genere: in Europa continentale fanno politiche che non creano posti di lavoro, così dall’est Europa vengono tutti da noi, e c’è poco da fidarsi dell’opinione di Cameron che le cose cambieranno. Quindi meglio uscire.

Theresa May, il nuovo leader dei Tories, ha stupito per le frasi inconsuete, per un esponente conservatore, pronunciate al momento del suo insediamento. Rivolgendosi ai britannici, ha detto che “il governo che io guido non sarà condotto nell’interesse di pochi privilegiati, ma nel vostro interesse”. E ha specificato l’affermazione con tre esempi: “se sei nato povero morirai in media 9 anni prima degli altri; se sei un nero, sarai trattato più duramente di un bianco dalla giustizia; se sei un ragazzo bianco della classe lavoratrice, hai ben poche probabilità di andare all’università”.

 Il famoso regista Ken Loach, storico avversario di Blair e sostenitore di Corbyn, ha dichiarato che non crede alla May. Molto probabilmente ha ragione, ma si tratta di un significativo cambio di stile  rispetto a Cameron.

Ruggero Paladini

Economist - Professor of "Scienza delle Finanze" at University "La Sapienza" Roma; Member of the Economic Board of Insight - ruggero.paladini@uniroma1.it